Venerdì, 11 Aprile 2014 01:56

Elliott Erwitt. Recensio brevis

Scritto da  Gerardo

Trasmettiamo la presentazione, a cura di Giuseppe Picone, della mostra Elliott Erwitt Icons.
Inaugurazione sabato 5 aprile 2014 alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “R. De Grada” di San Gimignano.




Elliott Erwitt. Recensio brevis

Con l’inaugurazione di sabato 5 aprile 2014 della mostra Elliott Erwitt Icons, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “R. De Grada” ha riavviato la attività negli spazi dedicati a esposizione temporanee del complesso dei Musei Civici dell’ex Conservatorio Santa Chiara.
L’occasione è stata propiziata dal cambio di gestione dell’insieme dei musei comunali di San Gimignano e dal passaggio di tale gestione dalla mano pubblica a quella privata. Mutamento non indolore e foriero (per taluni) di incognite per il futuro. Certamente, sia dalla proposta di questa bella mostra sia dalle innovazioni intelligenti riguardo la comunicazione che è dato di constatare in corpore vili della nostra Città, l’inizio è più che buono. Si spera solo che, come nella “nouvelle cuisine”, l’assaggio non sia tutto il piatto.

Ma veniamo al nostro Elliott Erwitt, arzillo ottantaseienne, fotografo, nato quasi per caso in Francia, dato che la sua famiglia ebrea è costretta a fuggire dalla Russia, ove aveva messo radici, e, attraverso la Francia, giungere temporaneamente in Italia. Ma da qui costretta a fuggire non più dai bolscevichi, ma dai fascisti e dalle orride leggi razziali del 1938. Per giungere finalmente negli Stati Uniti, ove il nostro troverà la libertà e il suo cammino. Un cammino che lo porterà a diventare uno dei più grandi fotografi del ventesimo secolo, dotato di uno sguardo attento, completo, profondo; ma anche limpido quanto intenso e appassionato; poetico quanto partecipe e militante. Tutta questa sequela di sfaccettature è poi avvolta di una ilare ironia, come ironiche, istruttive e pedagogiche sono le “storie” che i rabbi del suo popolo tramandano di generazione in generazione dalla notte dei tempi.

L’ironia domina sovrana nella piccola sezione autobiografica posta (giustamente e felicemente) in limine alla esposizione (fra l’altro vi compaiono le uniche due foto a colori del tesoretto delle 42 foto che compongono la mostra). Esilarante la autoparodia della famosa foto Francia Provenza 1955. Il lungo viale resta. Ma invece dell’uomo con bambino e baguettes sulla bicicletta, troviamo il nostro beffardo inconfondibile Elliott su un triciclo per bambini ( o si dovrebbe dire quadriciclo?). Si salvano solo le baguettes… Dopo questo divertito siparietto autobiografico si entra nel mondo di Erwitt. Un mondo popolato di donne, uomini, cani. Cani con fattezze umane e viceversa. Gente comune e protagonisti della storia. Ma anche qui i livelli si confondono. Si prenda ad esempio la foto che immortala l’incontro tra Nixon e Kruscev. Richard Nixon può essere contemporaneamente un uomo di stato (al momento credo fosse Vice Presidente degli Stati Uniti) e un comune avvocaticchio imbroglioncello (non a caso è passato alla storia con il nomignolo di Diky Triky). Nikita Kruscev un candido e spiccio mugiko e al tempo stesso il capo supremo di tutte le Russie. Non mancano le foto più celebri: quella del bacio riflesso nello specchietto retrovisore; gli immancabili “ritratti” di Marilyn Monroe, Ernesto Che Guevara, John F. Kennedy, etc etc. Non manca neppure l’urlo militante contro il razzismo di North Carolina 1950: lavandino distinto per White e Colored. Né poteva mancare la Tour Eiffel vista dal Trocadero, ove all’improvviso appare il vento (è possibile fotografare anche il vento!) e tutto si muove: gli ombrelli si rovesciano, una figura (fra Chagall e Fred Astaire) spicca un salto a sovrastare la torre.

Per ultimo vorremmo parlare della foto nostra preferita: Reno, Nevada, 1960 (nella didascalia della mostra appare 1969: chiaro refuso tipografico). Si tratta di una sorta di piramide umana che immortala i protagonisti a tutto tondo del film The Misfits (Gli spostati). Alla base troviamo Montgomery Clift e Marilyn Monroe seduti su sgabelli di fortuna. Clark Cable accanto a Marilyn appoggiato sul proprio ginocchio. Dietro a Monty il quarto attore protagonista Eli Wallach. Infine nella parte più alta John Huston il regista e il produttore Frank Taylor. Chiude la piramide nella sua sommità (e non poteva essere diversamente) l’autore della storia, lo scrittore Arthur Miller (allora anche marito di Marilyn Monroe). Ad un primo sguardo sembra una scena idilliaca. Il perfetto ritratto di un organismo che ha una testa e i piedi, come abbiamo visto. Ma se si fa una lettura più attenta dei volti dei sette personaggi, allora tutto assume un altro aspetto. La situazione si fa più mossa, animata, agitata. Monty ha uno sguardo enigmatico, tormentato, perso. Marilyn è condannata a mostrare il suo corpo, la sua carne. Ma lo sguardo è obliquo. La bocca, più che offrirsi, sta trasformandosi, forse, in una smorfia. Per gli attori possiamo fermarci qui. La smorfia la troviamo sul volto di John Huston. John Huston nella sua autobiografia (1980) parla diffusamente delle vicende accorse sul set di The Misfits. Vicende tormentate più che turbolente. Monty e Marilyn: due attori straordinari, ma versati sistematicamente alla propria autodistruzione. Tutti e due imbottiti di psicofarmaci. Marilyn poi con una vita sentimentale destinata sempre a rasentare la catastrofe. Prima vittima di questa attrazione verso l’inferno di Marilyn nel 1960 è proprio Arthur Miller, il grande commediografo e intellettuale americano. La testa di quell’organismo che Erwitt ci offre con questa opera magistrale. “Non è tutto come appare”: così, giustamente, si chiude la nota esplicativa della foto pubblicata nel non-catalogo della mostra curata da Biba Giacchetti.

La mostra resterà aperta fino al 31 agosto 2014. Orario: Tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.00.

Giuseppe Picone
San Gimignano, 6 aprile 2014







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